Da alcuni giorni, l’auto-proclamata ala progressista dello schieramento politico nazionale (è facile definirsi tali quando dall’altra parte si affollano fascisti dichiarati e ultra-conservatori cattolici) e una discreta parte delle nomenclature europee stanno attuando il piano finale in vista delle elezioni politiche italiane del 25 settembre: spostare l’asse della propria narrazione propagandistica sul terrore generato dalla concreta ipotesi di una vittoria (che i sondaggi danno quasi come inevitabile) della destra euroscettica e populista capeggiata da Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia (attualmente primo partito nel paese), abbandonando completamente quella pur tenue parvenza di proposta politica fin ad oggi avanzata, che in realtà dovrebbe essere il cuore di una campagna elettorale degna di questo nome.

Alle sparate grossolane e machiste dei propri avversari, i moderati e il centro-sinistra non fanno altro che rispondere con la paura. Paura della crisi economica, paura di una revisione costituzionale a colpi di maggioranza, paura delle connivenze col regime russo di Putin, paura dell’oscurantismo sui diritti civili e sociali, paura della scossa tellurica che potrebbe generare nelle cancellerie e nelle istituzioni europee. Paura, in tutte le sue forme.

Francamente, la trovo una scelta condivisibile.

D’altronde, in questo paese, fin dal lontano 9 maggio del ‘78 (data del ritrovamento del cadavere del leader della DC, Aldo Moro, in via Caetani e dell’assassinio di Peppino Impastato) passando per la strage alla stazione di Bologna del 02 agosto del 1980 fino alle bombe di Capaci e di via d’Amelio del ‘92, la paura è il vero motore della politica di questo paese, del dibattito culturale e sociale.

La paura è lo strumento col quale l’opinione pubblica si schiera; la paura guida la mano dell’elettore medio nella cabina elettorale; la paura distorce la realtà quotidiana e le aspettative dei giovani lavoratori.

Insomma, da più di quarant’anni a questa parte, da quando cioè la sovranità democratica del nostro paese è stata definitivamente soffocata sotto le macerie e i morti generati dalla Strategia della Tensione, è la paura a farla da padrona.

Paura del diverso, paura dello straniero, paura della piccola criminalità, paura di perdere il posto di lavoro, paura di non poter pagare le bollette o il mutuo.

Siamo circondati dalla paura, immersi nella paura.

Soprattutto le giovani generazioni, che non hanno veri punti di riferimento istituzionali e sociali a cui aggrapparsi e vivono in balìa dei danni di una globalizzazione liberista selvaggia.

Ma anche i più vecchi, che stanno via via perdendo tutte le loro certezze, in questo mondo occidentale sempre più isterico e gassoso nel suo evolvere ad un ritmo disumano.

Chi sono i buoni e chi sono i cattivi?

Nessuno può dirlo ormai, perché tutto e il contrario di tutto si può affermare, sui media classici e soprattutto attraverso i social network.

La realtà è sempre più opaca; le verità sono sempre più sfumate, impalpabili, mutevoli.

Ciascuno si tiene stretta la sua e ringhia in faccia a chi la mette in dubbio.

Dunque, perché non perseverare in questo solco?

Se finora ha funzionato così bene per la destra italiana prima contro i comunisti, poi contro i giudici e gli immigrati, perché non dovrebbe funzionare allo stesso modo se usata dall’altra metà del campo contro lo spauracchio di un governo di nostalgici del Duce?

La trasmutazione è avvenuta: se parli come la destra e fai le cose che farebbe la destra, nonostante tu affermi di essere progressista, finirai per diventarlo.

Ma se questo può aiutarti a rosicchiare il margine di vantaggio dei tuoi avversari e ti permette di recuperare terreno, perché non provarci?

Il linguaggio della paura è quello che questo paese piccolo-borghese, dalla mentalità provinciale, economicista e fondato sulla ricchezza ereditata dal proprio nucleo familiare, capisce meglio di tutti gli altri.

Sono decenni ormai che gli investimenti, pubblici e privati, sono crollati. Da trent’anni a questa parte i salari sono calati, a differenza di quanto accaduto nella stragrande maggioranza dei paesi nostri partner europei.

Le diseguaglianze sociali polarizzano la comunità nazionale.

Le donne sono sempre più discriminate, sono oggetto di violenza e finanche uccise per lo più per mano dei propri mariti, fidanzati e parenti stretti.

La casa e il lavoro non sono più un diritto ma un privilegio accordato a chi può permetterseli.

Per non parlare dell’accesso alle cure mediche e all’educazione, alla sanità e all’istruzione pubblica.

E tutto questo è avvenuto con governi dei più svariati colori: centro-destra, centro-sinistra, governi tecnici, di larghe intese, dei migliori, di emergenza nazionale.

Con crisi economiche, guerra, pandemie a imperversare, nulla di tutto ciò è cambiato.

La cosa più progressista che è stata fatta è stata concedere a chi si ama e convive un minimo di riconoscimento giuridico, nulla di più e solo perché molti esponenti politici non sono sposati.

Alla luce di queste evidenze, appare chiaro come il mio condividere la scelta di fare leva sulla paura fosse una palese provocazione.

Infatti, perché io oggi dovrei avere paura di Giorgia Meloni?

Una figura politica che, piaccia o non piaccia, col suo corpo rappresenta già una novità: potrebbe essere la prima donna presidente del Consiglio (sic!). E pazienza se era fascista e ora dice di non esserlo più (non le crediamo, ma non c’è problema)! Sono passati ottant’anni dall’ultimo governo fascista, che è rimasto in sella per un bel pezzo.

Come si dice in questi casi, la storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia e la seconda come farsa.

Alla peggio smorzeremo la rabbia e la tensione per i danni che combineranno con una grassa e amara risata!

Abbiamo già visto le leggi razziali, le deportazioni, il colonialismo.

Abbiamo scatenato una guerra mondiale in compagnia di nazisti e ultra-nazionalisti giapponesi.

Ma cosa potrà mai combinare di peggio questa rampante leader romana col suo seguito di ex-picchiatori e maneggioni?

Ripetiamo insieme: siamo il paese del Gattopardo.

Tutto cambia perché nulla cambi.

Basterà confidare nell’eterno ripetersi dell’uguale, così rassicurante e confortevole.

Se così non fosse, se davvero costoro si rivelassero per ciò che in cuor loro sentono come il sentimento più sincero, ovvero la volontà di riportare in auge una forma palesemente autoritaria di governo, forse per la prima volta da decenni qualcuno oserà di nuovo schierarsi, non per paura ma per senso di dignità e amor proprio.

In nome di quei valori che tutti noi abbiamo tradito e dimenticato, ma per cui qualcuno tra il 1922 e il 1945 è morto sotto i colpi dell’odio e della violenza politica.

Qualcuno a cui tutti noi dobbiamo molto, qualcuno che all’indifferenza di massa che contraddistingueva e tutt’oggi contraddistingue l’enorme zona grigia che popola questa nostra patria, ha saputo contrapporre il coraggio e la coerenza. Fino alla fine. Non eroi o eroine da santificare, gente normale ma con la schiena dritta. Gente che alla paura ha preferito la speranza. E ce l’ha donata, tutta intera, senza avere nulla in cambio se non la morte.

Viva sempre la Resistenza e la Costituzione repubblicana!

Buon voto a tutte e tutti!

Francesco Ciancimino

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