Da domani

Ancora con la testa sul cuscino me la prendo con la sveglia,

suona forte, troppo forte

è stonata.

Uno schiaffo a quella capocchia alzata, per farle capire chi comanda,

la spengo senza pietà dopo due trilli appena.

Mi alzo a tentoni, nella stanza è ancora troppo buio.


Sbatto il piede contro la sedia,

quella dove la sera prima ho sistemato alla rinfusa i panni da lavoro.

Che cretina penso, stringo i denti tenendo il piede per calmare il dolore, non si calma, zoppico, una mano a chiudere la bocca e penso

un vaffanculo a tutto

già di prima mattina.


Ci vuole rispetto per chi ancora sogna,

ecco, guardalo disturbato dal rumore accidentale,

si gira,

mugugna pure,

come se la botta l’avesse sentita lui.

Che rabbia!

Lui, che se la dorme almeno fino all’ otto meno …

quel meno che per me è un più infinito.


Zoppicando scendo le scale mentre mi vesto:

calzini, jeans, maglietta, le scarpe sono ad aspettarmi all’ultimo gradino.


Se sono stata attenta ieri sera avrò infilato tutto dalla parte giusta,

nessuna cucitura in vista, nessun cartellino appeso a sventolare fuori bandiera bianca,

se così non fosse mi aspettano pacche sulle spalle e risatine

…ma che mi frega…

alle cinque di mattina

niente specchi.


In soggiorno la finestra è aperta su un cielo ancora stinto ma sereno.

È lunedì ed io lavoro. 

Piovesse sarebbe meglio!

Allora ordino pioggia su tutti, 

bevendo in piedi un caffè doppio, amaro e bollente.

Il solito tran tran che parte come la ruota nella gabbia del criceto

e gira gira sempre più veloce.

Porca miseria le chiavi! 
Non sono mai al loro posto, a loro non piace essere appese, c’è solo da capirle, infondo lo fanno di lavoro è normale che una volta staccate si perdano, finalmente libere da ogni blocchetto, sdraiate accasciate su sé stesse.

È tardi!

 Rovisto sopra lo svuota tasche sul tavolo in cucina, tra i cuscini del divano.

Niente! 
Faccio mente locale, la borsa, la tasca dei pantaloni,
niente, pensa veloce, pensa!

Il cesto dei panni sporchi? 

No!
Cavolo il nervoso aumenta.

Esco, lascio tutto spalancato e corro alla macchina, come pensavo è aperta, entro,
mannaggia a loro … sono qui infilate,

pronte prima di me al lavoro.

Si chiama esaurimento, distrazione, coglionaggine,
si chiama lunedì alle 5 di una mattina che preannuncia afa. 

Un’altra bella giornata che io non avrò il piacere di vedere,

almeno fino alle due, salvo straordinario.

STRAORDINARIO

che parolona lunga,

ladra di tempo,

speso,

pagato

e sottratto

negli inganni di una busta paga. 

Sono pronta a rinchiudermi in fabbrica,

otto ore di illuminazione artificiale che scolora anima e corpo.

Da domani ho deciso cambio tutto.

Lo penso, poi metto in moto e parto.

Si da domani...

Simona Quilici

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