È sempre più acceso in ambito europeo il dibattito che riguarda l’adeguamento delle case degli italiani in modo che le stesse raggiungano una classificazione “E” entro e non oltre il 2030, per poi essere migliorata alla classe “D” entro i tre anni successivi, ovvero nel termine massimo stabilito nel 2033.

In questo contesto, occorre tener conto di un dato molto importante:
circa il 70% dei cittadini italiani possiede una casa di proprietà.

Questo comporta un esborso trai 30 mila e i 50 mila euro per la messa in regola delle singole abitazioni.

In più, considerando che la maggior parte delle case degli italiani rientra in una classificazione energetica di classe “G”, la problematica diventa molto più grave e onerosa.

Il tutto, dunque, non può essere semplificato come nella visione economica dei Verdi che ritengono che le case adeguate andrebbero ad acquisire un maggiore valore.

Infatti, occorre sottolineare come i cittadini non in grado di adeguare la classe energetica delle proprie abitazioni andrebbero a perdere il loro valore, fattore che comporterebbe una svalutazione massiccia che danneggerebbe in modo consistente il sacrificio economico che tanti cittadini italiani hanno dovuto compiere per potersi permettere una casa di proprietà.

Il principio che regola il processo di miglioramento energetico delle case è del tutto lecito, ma bisogna porsi una domanda:

“Chi pagherà le spese da affrontare per sostenere questa tipologia di lavori?”

Se dovesse assumersi i costi l’Unione Europea, questo rientrerebbe nelle attuali politiche green tanto promosse e sponsorizzate.

In caso contrario, pretendere che milioni di cittadini debbano sacrificarsi ancora, affrontando queste ingenti spese, sarebbe da irresponsabili e dimostrerebbe poca sensibilità sociale.

Se si vuole perseguire l’obiettivo del miglioramento energetico occorre fare un’attenta analisi che appuri chi realmente può permettersi tale esborso e chi, invece, non è in grado.

In quest’ultimo caso, lo Stato deve riuscire a trovare il modo di accedere a dei fondi stanziati dall’Europa e investirli per supportare chi non potrà sostenere le spese di adeguamento energetico della propria casa.


Il primo via libera alla Direttiva

Il 24 gennaio del 2023 ha ottenuto il prima via libera la Direttiva Case Green.

Sono stati 49 i voti favorevoli, 18 quelli contrari e 6 gli astenuti.

Con questa misura, l’Unione Europea vuole ridurre i consumi di energia nell’ambito edilizio entro e non oltre il 2030, aumentando i lavori di ristrutturazione degli edifici che vengono considerati non efficienti dal punto di vista energetico, così da renderli climaticamente neutri entro il 2050.

Il testo più recente della Direttiva prevede il seguente iter:

  • ogni nuovo edificio dovrà essere a emissione zero entro il 2028;
  • i nuovi edifici di proprietà di autorità pubbliche, o gestiti da enti pubblici, dovranno essere a emissioni zero entro il 2026;
  • i nuovi edifici devono prevedere l’utilizzo di sistemi fotovoltaici entro il 2028;
  • gli edifici in fase di ristrutturazione possono adeguarsi alle norme entro il 2032.

Entro il 2030 tutti gli edifici dovranno passare alla classificazione “E”

Una delle novità che più ha suscitato clamore durante l’incontro del 24 gennaio 2023 al Parlamento Europeo ha riguardano gli edifici già esistenti.

Infatti, è stato deciso quanto segue:

  • entro il 2030 gli edifici residenziali già edificati dovranno adeguarsi e raggiungere la classe energetica “E”;
  • entro il 2033, invece, si dovranno obbligatoriamente adeguare gli edifici alla classificazione “D”;
  • per gli edifici pubblici e non residenziali andranno seguiti gli stessi passaggi ma, rispettivamente, entro il 2027 e 2030.

Questo è quanto deciso al Parlamento Europeo.

Naturalmente, ogni Stato potrà decidere quali misure adottare per ottenere tali obiettivi, inserendo le proprie direttive all’interno dei piani nazionali di ristrutturazione.


Quali edifici sono stati esclusi dalla Direttiva Casa Green

Attualmente, è stato deciso di escludere dalla Direttiva Case Green i monumenti.

Gli Stati appartenenti all’UE, però, possono decidere di escludere le seguenti categorie:

  • gli edifici di valore architettonico e storico;
  • edifici tecnici;
  • le chiese e altri luoghi di culto;
  • alloggi pubblici sociali.

L’Unione Europea si comporta come quell’arabo che di fronte ad un cervello elettronico pose la domanda:

È meglio essere monogamo o poligamo?
Il cervello si mise ad elaborare la risposta ed alla fine disse che un problema non si risolve moltiplicandolo!”

Vittorio Luciano Banda

Selena Sanna

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *