REWIND
La Maschera
Le farfalle nello stomaco, l’amore nell’aria.
Le mie farfalle erano morte prima ancora di nascere, forse il loro processo non era mai avvenuto.
Rimaste bruchi, perché non ci avevano creduto fino in fondo.
Sono così stanca di questa maschera. Inizia a farsi pesante: si accumulano sensi di colpa e rimpianti, e indossarla ogni giorno sta diventando estenuante.
La porto da così tanto tempo che sto dimenticando chi io sia davvero.
La maschera si insinua sotto pelle e non riesco a fermarla: ho paura di distruggermi e le sto lasciando campo libero.
Ogni giorno si appropria di un centimetro della mia pelle, del mio cuore, della mia anima.
Ha assorbito i miei sentimenti, ha accantonato le mie emozioni. Sono un automa che svolge i suoi compiti meccanicamente, senza provare nulla. Riesco a sentire solo il vuoto.
All’inizio la indossavo per proteggermi, per evitare di frantumarmi. Ma ora che ha preso il sopravvento, ciò che doveva difendermi è diventato ciò che mi sta lacerando.
Mi chiedo: quando la maschera avrà il pieno potere, cosa resterà di me?
Nessuno è davvero immacolato: in qualche storia siamo stati tutti antagonisti. I cattivi da sconfiggere.
Mi sento in apnea. Trattengo il fiato per non disturbare, ingoio parole per non farmi del male, rigetto urla per non cadere nel baratro. Nemmeno ricordo il giorno in cui ho smesso di vivere.
Troppe volte mi sono sentita una vagabonda. Nessun luogo sembrava per me, tutto mi stava stretto.
Mi dispiaceva per lui. Che sciocca! Ero io quella da compatire: io, che ero stata ferita e poi tradita.
Nessuno aveva avuto pietà di me, nemmeno io stessa.
Ed era quasi assurdo – a tratti ironico – che l’inferno nel quale vivevo lo avessi desiderato io stessa.
Le scelte sbagliate tornano sempre come un boomerang, ma il loro impatto è quello che fa più male.
“Non c’è cosa peggiore che essere costretti a restare in un luogo che non ti appartiene più, dal quale vorresti solo scappare.”
Avevo paura perfino di respirare. Temevo di fare rumore, di disturbare chi amavo ma che, in fondo, non mi aveva mai amata.
Camminavo in punta di piedi in una casa che non avevo mai sentito mia, ospite di mura che avevano assorbito i miei pianti e trattenuto le mie grida. Le risate? Chissà in che angolo erano rimaste intrappolate.
Mi avevano definita coraggiosa. Forse avevano ragione: avevo trovato il coraggio di pugnalarmi, pur sapendo che forse non sarei sopravvissuta.
I grazie mancati, il freddo di un abbraccio mai dato, i baci obbligati: tanti piccoli gesti che avevano scavato così a fondo da svuotarmi.
Tra di noi un muro invisibile ma solido ci divideva. Nessuno dei due era riuscito a scalfirlo: per timore o per orgoglio, avevamo accettato che fosse parte di noi. Ma giorno dopo giorno quella barriera si spostava verso di me, fino a schiacciarmi.
Com’eravamo un tempo? Ero io che non lo vedevo o erano stati gli anni a raffreddarci?
Perfino respirare era diventato pesante, nonostante fosse naturale.
Ero stanca di svegliarmi, indossare un sorriso di circostanza e pregare che arrivasse sera, per spegnere il cervello sotto le lenzuola, tra le braccia di Morfeo.
Fu quel pensiero costante a condurmi in cima a quella cascata.
✨ “Dopo Il Tempo, a breve arriverà anche La Cascata: l’ultimo capitolo di questo viaggio interiore.”