La novella del sindacalista scalzo – capitolo 4°

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“Paura, questa gente ne è pervasa…”

esclamava soddisfatto, dopo un lungo respiro.

Il direttore generale della miniera osservava la fiumana di operaie e operai che usciva ciondolante dai cancelli dello stabilimento estrattivo.

Aveva scelto di posizionare i suoi uffici esattamente a ridosso dell’ingresso principale, così da poter osservare attentamente l’ingresso e l’uscita di tutti i dipendenti dall’alto, dalle sue grandi finestre luccicanti.

Uno di loro alzò distrattamente lo sguardo e lo vide.

Lui ricambiò con un saluto della mano e un sorriso mellifluo.

L’operaio si limitò ad un cenno del capo e tornò ad abbassare gli occhi.

Forse vi starete domandando come faccio a conoscere tanti particolari di una situazione in cui io non ero effettivamente presente. È più che legittimo. In realtà, qualcosa mi è stato riferito, il resto lo posso immaginare perché ho imparato a conoscere molto bene i protagonisti della nostra storia. Ma torniamo al racconto…

“Lei dice, signore? Cosa glielo fa pensare?”

domandò il suo assistente personale, un ragazzo giovane, piuttosto emaciato, con grossi occhiali e lunghi capelli pettinati all’indietro.

“Lo si capisce, è chiaro. Sono confusi, spaventati, disorientati.

Si sentono soli, smarriti di fronte al potere che li governa. E non potremmo chiedere di meglio. Fino a che il vecchio proprietario resta in vita, ci limiteremo a questo. Quando lui se ne andrà, imporremo le nostre regole, una volta per tutte. Il vecchio non ha ancora capito che il mondo sta cambiando.

Che è la paura a governare.
Paura, paura ovunque, paura del nuovo, del diverso, del cambiamento.

Paura di un fantasma che agitiamo davanti ai loro piccoli occhietti ignoranti di contadinotti senza cultura, per poi farlo sparire e farlo riapparire ancora in circostanze diverse, per dimostrarne l’esistenza. Paura dell’ignoto, di quello che non si capisce e non si afferra.

Paura, paura, paura!
Come mi piace questa parola, la ripeterei all’infinito! A te non piace?”

“Certamente, signore”

“Non avevo dubbi, se no non ti avrei mai scelto”

“E con il matto che gira senza scarpe, come la mettiamo? Ha già in mente qualcosa per liberarsene? Potrebbe diventare un problema”

“Non credo, ma non voglio sottovalutare nulla, hai ragione. Se lo facessimo sparire diventerebbe un eroe, questo non giocherebbe a nostro favore. D’altro canto, a quel punto sì che comincerebbero a farsela sotto. Alcuni di loro, però, proverebbero certamente ad emularlo e noi questo non lo vogliamo assolutamente. No! Decisamente deve restare dov’è.
Dobbiamo piuttosto screditarlo agli occhi degli operai.

La sola cosa migliore di uno zotico spaventato, che può comunque essere pericoloso, è uno zotico spaventato e totalmente sfiduciato.

Quando anche il suo paladino più brillante dovesse vedere offuscata la sua immagine, ecco che si compirà il destino della classe operaia, finalmente: accettare tutto quello che daremo loro in pasto e ringraziare dell’opportunità ricevuta.

Farli lavorare diventerà un regalo misericordioso, chi lavorerà sarà un privilegiato,
degli altri faremo in modo che si diffonda la fama di ubriaconi e perdigiorno.

Non vedo l’ora che quel vecchiaccio crepi, desidero assolutamente ricostruire la mia villa con un ampio giardino attorno e una piscina gigante”

“Con lo scivolo, signore?”

“Ci puoi scommettere, ragazzo!”

“Eccellente, signore! Davvero diabolico da parte sua”

E infine scoppiarono in una potente risata. Di colpo, le porte dello studio si aprirono.

Comparve il vecchio proprietario della miniera sulla sua sedia a rotelle, scortato da un paio di assistenti e dal suo badante che spingeva la carrozzina.

I due si ricomposero un momento.

“Ebbene?”

chiese il vecchio

“Da dove nasce tanto entusiasmo?”

“Presidente, abbiamo ottime notizie: il caos alla miniera è rientrato. Le timide proteste si sono spente da sole. La produzione ha ripreso il ritmo normale, anzi è cresciuta, così come i nostri profitti… i vostri profitti”

rispose il direttore.

“Ho capito. E come mai si è risolta?
So che uno dei nostri dipendenti ha perso la vita recentemente.
Si è trovata una soluzione umana, almeno per la famiglia?”

“Certo, presidente, riceveranno una pensione di risarcimento fino a che la donna non troverà un lavoro. Avevamo anche pensato di assumerla, ma purtroppo non sa leggere e scrivere bene ed è troppo fragile per lavorare nei cantieri. Non appena avremo notizie, provvederemo a sistemarla”

“Molto bene. Fate le mie condoglianze alla famiglia e alla vedova. Ora sono stanco, me ne vado a casa. Saluti, direttore”

“A presto, Presidente, buon riposo!”

Le porte si richiusero alle spalle di quel piccolo corteo. La fiumana, intanto, giù nel viale principale, era scemata. Restavano soltanto i pochi ritardatari e qualche compagine più chiacchierona del solito.

Il direttore tornò ad affacciarsi alla finestra, soddisfatto e sorridente.

Un passo dietro l’altro, i ragazzi e le ragazze si avviavano all’uscita.

Il clima generale era pessimo.

Dopo la morte del collega e le proteste scoppiate, capeggiate dal cugino di mia moglie che intanto era stato definitivamente messo a casa, tutto si era risolto in un nulla di fatto.

Molti operai avevano ceduto dopo poco tempo, una volta giunta voce delle prime ritorsioni da parte dell’azienda.

In più, la popolazione locale non li aveva supportati come si aspettavano. E così, borbottando tra loro, anche questa giornata lavorativa giungeva al termine.

Senza che nulla fosse davvero cambiato.

“Dì un po’, ci andiamo a fare un bicchiere, compare?”

“Non ho voglia di bere, non ho voglia di fare nulla, voglio solo andare a dormire a casa, nel letto con mia moglie”

“Chiaro! Che altro ci vuoi fare a letto con tua moglie?”

“Fottiti!”

“Dai su, che musi lunghi che avete. Poteva andare peggio, potevamo essere in mezzo alla strada. Chi avrebbe dato da mangiare ai nostri figli, poi?”

“Poteva andare peggio? Dico ma ti rendi conto? Ci hanno minacciato
perché ci siamo permessi di chiedere condizioni di sicurezza adeguate
dopo che un collega ci ha rimesso la pelle!”

“Infatti, ha ragione, non è giusto!”

“Sono dei cani”

“Bastardi”

Uno di loro alzò lo sguardo e vide il direttore che li osservava dalla finestra. Lo salutò, lui ricambiò con un cenno del capo.

“Coglione”

disse, dopo aver abbassato di nuovo gli occhi.

Intanto, una figura silenziosa coperta da un cappello e da un pesante cappotto si infilò nel corteo senza farsi notare.

Era il nostro sindacalista, finalmente con un nuovo paio di scarpe.

Era venuto ad ascoltare l’umore generale all’uscita dell’ultimo turno serale.

“Cosa pensate di fare, allora? Siete stati una settimana in sciopero e abbiamo rischiato le mazzate. Non avete ottenuto nulla. Quindi o la smettete di lamentarvi e vi mobilitate, oppure non prendetevela con chi come me cerca di guardare avanti”

“Guardare avanti… cosa pensi che ci aspetta? Le cose andranno sempre peggio da qui in avanti, vedrete se mi sbaglio”

“Ehi, ragazze. Voi cosa ne dite? Ci andiamo a fare una bevuta?”

“Si può fare, noi zitelle di lusso non dobbiamo tornare dai nostri mariti a far da mangiare. Possiamo permetterci di ubriacarci senza ritegno, stasera”

risero di gusto.

Lo spirito era basso, pensò il nostro sindacalista,

ma sotto la cenere covava ancora una scintilla.

Una tensione inespressa. Non tutto era perduto. Ma come si poteva fare per risvegliare gli animi alla lotta? E per coinvolgere la cittadinanza tutta? Forse era ora di giocare d’astuzia, oltre che osservare ed ascoltare, come aveva suggerito quella donna in carcere. Ma che fare? Lui in realtà non sapeva che, come gli era stato suggerito da quella figura misteriosa, attorno a lui gli altri attori stavano già muovendo le loro pedine. Il destino gli sarebbe corso incontro, una soluzione sarebbe apparsa dal nulla. Qualcosa che mai avrebbe sospettato e che lo riguardava direttamente.

            Decise di mostrarsi:

“Compagne e compagni, non tutto è perduto!”

esclamò togliendosi il cappello. Forse fu un’entrata in scena un po’ troppo ad effetto, ma ormai era fatta

“riuniamoci ancora una volta in assemblea, stasera.

Non lasciamo che si spenga la fiamma della protesta e della nostra dignità”

Il corteo si era ormai allontanato dall’ingresso dei cantieri, lontano da occhi indiscreti il nostro sindacalista stava tentando di radunare una piccola folla attorno per portarla in assemblea.

“Nostra dignità?”

disse l’operaio che aveva voglia di bere

“A me pare che tu sia tanto bravo a farci la predica, ma siamo noi a rischiare il posto! Tu cosa rischi?”

“Io sono con voi sin dal primo giorno, sto passando più tempo in carcere che all’aria aperta.
Vi sto consigliando come meglio posso e cerco di coinvolgere la cittadinanza, ogni giorno che passa.
Non possiamo arrenderci alla prima difficoltà, voi avete tutto il diritto di protestare!”

“Ha ragione!”

“Sì, accidenti!”

“Viva il nostro sindacalista!”

“Ascoltate, oh, buoni un po’! Hai visto cosa è successo l’ultima volta, Salvatore è stato messo a casa, molti di noi hanno rischiato di fare la stessa fine. E tutto questo per cosa? Se invece ci mostriamo collaborativi, la dirigenza avrà un occhio di riguardo, vedrete!” insisteva l’operaio di prima. Il nostro sindacalista si insospettì.

“Che cosa ti hanno promesso? Il posto di capo squadra? O addirittura di capo cantiere?!”

“Sì, è vero!”

“Krumiro!”

“Traditore!”

“Oh, ma fatela finita, lo sapete che sono un pezzente come voi! Io sto usando la testa, tutto qui. Cosa che voi non fate più da quando è apparso questo pagliaccio senza… senza… ma dove la hai prese quelle?”

“Il tempo degli scherzi è finito, la questione è seria e urgente! Dobbiamo tornare ad organizzarci e dobbiamo trovare il modo di smuovere le acque giù in città! Chi è con me?”

Un potente grido si levò dalla folla di qualche decina di persone

Mantenendo il corteo, ma con passo decisamente più arrembante, il gruppo si diresse verso il centro, con alla testa il nostro sindacalista, più euforico che mai.

Quella piccola scintilla che covava sotto la cenere era diventata una fiamma luminosa.

Francesco G. Ciancimino

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