La novella del sindacalista scalzo – capitolo 5°

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E mentre il direttore generale delle miniere fantasticava di prendere il controllo totale sul sito produttivo e i lavoratori si riunivano per progettare una nuova controffensiva, capeggiati dal nostro protagonista, nelle sale della politica cittadina si percepiva una profonda tensione.

Mai prima di allora i nostri rappresentanti si erano trovati di fronte ad una situazione simile.

Fratture sociali, dibattiti di piazza, scontri familiari, proteste, scioperi.

Tutto questo non andava per nulla bene, stava certamente pensando il nostro sindaco.

Un uomo moderato, equanime, equidistante, nonché economo e amante della pace.

Sempre pronto a spendere una buona parola in favore della stabilità, della serenità di tutti.

Sempre prodigo nel sedare ogni dissapore, nel cercare soluzioni che accontentassero tutti o meglio che scontentassero egualmente tutte le parti in causa.

Salvo poi farsi scivolare in tasca qualche lauta mazzetta.

Il fulcro di una comunità che si reggeva su sottili equilibrismi e su una moralità un po’ accattona.

Tanto peggio, tanto meglio.

E chi lascia la strada vecchia per quella nuova, sa quello che lascia ma non sa quello che trova.

Così si poteva riassumere la sua visione politica.

Un fine oratore, un giurista, capace di dissipare la matassa delle normative e dei regolamenti.

Capace di trovare scorciatoie e scappatoie legali persino di fronte ai contenziosi più intricati.

Ma questa volta era diverso, questa volta si sentiva preso in giro.

Ma come? Lui che aveva tanto lavorato negli anni dei suoi innumerevoli mandati a creare le condizioni tali per cui tutte e tutti potessero attingere un minimo alla grande torta da spartirsi sul tavolo del compromesso sociale, per poi vedere apparire questo pagliaccio a piedi nudi che ha l’ardire e l’arroganza non solo di mettere in discussione quel sistema, ma persino di fare un gran baccano per abbatterlo. Andava necessariamente trovata una soluzione.

“Signor sindaco?”

“Che c’è?!”

“Pare che i lavoratori si siano nuovamente riuniti in assemblea ieri sera…”

“Che dici?! Di nuovo?! Ma non si erano arresi?”

“Pare di no, signor sindaco”

“Ma che por…” e giù improperi.

“Signore?”

“E quindi?”

“Quindi, signor sindaco, il sindacalista ha messo le scarpe”

“In che senso?”

“Pare che non giri più scalzo”

“Davvero?!”

“Pare di sì, signore”

“E perché mai?”

“Non saprei, signore”

“Io non ce la faccio più… riunione di gabinetto! Immediata! Convoca la giunta!”

“Sì, signor sindaco”

“Ma tu dimmi se è mai possibile una cosa del genere… che avrò fatto di male per meritarmi questo, madonnina bella.”

biascicava commosso, rivolgendosi ad una sacra effigie posta alle spalle della sua enorme scrivania di mogano.

Poche ore dopo, la giunta era riunita in gran consiglio. Riunione fiume: fino a che non avessero trovato un rimedio a quel caos, non si sarebbero fermati. A costo di stare svegli tutta la notte.

“Signor sindaco, qui la questione si fa seria, questo sindacalista non pare mollare il colpo.”

“Ma complimenti, che fine osservatore! E da cosa lo avresti dedotto? Qualcun altro ha da dire un qualche tipo di ovvietà come questa che abbiamo appena ascoltato dal collega? Bene! Ora mi aspetto considerazioni un po’ più utili alla causa!”

“Signor sindaco, a seguito di approfondita analisi mi sento di esprimere quanto segue: non possiamo fingere che il problema non esista. Probabilmente, le strategie adottate finora non possono funzionare a fronte di un soggetto che non è ricattabile, non è direttamente legato a questo territorio, dunque, non ha legami affettivi su cui fare leva, non ha nemmeno interessi di sorta perché pare essere nullatenente. Insomma, è una mina vagante”

“Bene, questo mi pare chiaro. Quello che non mi spiego è come accidenti fa ad avere tanta presa sugli operai, gente buona a spaccare la pietra, non a ragionare su certe questioni raffinate.”

“E’ proprio questo il punto, signor sindaco: forse non è solo un fatto legato alle sue capacità oratorie, forse dei problemi sociali profondamente sentiti dalla popolazione che lavora alla miniera effettivamente sussistono… signore.”

A quelle parole, calò il silenzio nella stanza.

L’idea che quella massa di zotici non fosse semplicemente preda di un fuoco fatuo, di una sbornia collettiva o di un abile pifferaio, ma fosse consapevolmente e coscientemente coinvolta in quelle lotte tanto da non volersi arrendere nemmeno sotto concreta minaccia era un’ipotesi fino ad allora totalmente esclusa da tutti i presenti, a partire dal sindaco.

Mai avrebbero potuto immaginarli capaci di prendere una posizione.

Certo, fino ad allora era regnata la pace, nessuno aveva mai messo seriamente in discussione lo status quo.

Nemmeno di fronte ai delitti più efferati, ai crimini più turpi che la classe dirigente locale aveva perpetrato nei confronti della collettività.

Tutto si era sempre risolto in una puerile diatriba giornalistica e col passare del tempo. Questa volta, per la prima volta come non succedeva da secoli, verosimilmente, la questione era complessa, spinosa.

Non si sarebbe risolta dall’oggi al domani, serviva un intervento deciso.

Un passo in avanti da parte delle autorità.

D’altronde, la polizia non poteva arrestare un numero tanto elevato di operai, altrimenti chi avrebbe mantenuto in piedi la produzione della miniera?

“Cosa possiamo fare?”

“Screditarlo, signore…”

“Interessante, spiegati!”

“Metterlo in cattiva luce. È vero, le lotte operaie sono emerse sulla base di questioni che covavano da tempo. Ma è innegabile che sia lui la scintilla che dà fuoco alla polveriera. Senza di lui, sono disorganizzati. Nessuno ha il carisma di trascinarseli dietro. Dobbiamo spegnere la scintilla. E per evitare di farne un martire dobbiamo creare le condizioni tali per cui emerga che in realtà è un disonesto, un poco di buono. Uno che cerca soltanto di approfittarsene, lasciando che siano gli operai a pagare il conto”

“E come pensi di fare?”

“Il direttore della miniera, con cui sono in ottimi rapporti, sta già ragionandoci”

“Voglio incontrarlo”

“Ma signore, aspetti un momento, che cosa sta succedendo qui?!”

intervenne uno dei consiglieri che ancora non aveva parlato.

“Vi rendete conto di cosa dite? Qui stiamo parlando della vita di un uomo che per quanto problematico è in realtà onesto e ha dimostrato grande coraggio, caparbietà, buon cuore. Amato dalle persone. Ora, non dico che vadano sostenute le sue posizioni di fronte alla classe imprenditoriale della città, ma certamente non può essere trattato come un criminale. È morto un operaio, un nostro concittadino, un mio congiunto per dirla tutta. Non mi pare possibile insabbiare la cosa! Io dico invece, incontriamoli. Incontriamolo. Ascoltiamo le loro ragioni, facciamoli scendere a patti. Non trovate? Io non vi riconoscerei più altrimenti e mi vedrei costretto a dimettermi”

“Benissimo, possiamo fare entrambe le cose. D’altronde, è assolutamente nel nostro stile”

“Concordo”

“Sì, credo si possa fare”

“Meglio allisciare il pelo alla bestia, per il momento, non è il caso di bastonarla subito”

“Ottimo, la decisione è presa. Incontrerò il direttore della miniera in privato e renderemo pubblica la nostra chiacchierata con gli operai. Così faremo la figura dei filantropi”

“Geniale, signor sindaco, davvero geniale”

“Grazie! La seduta è aggiornata!”

Il solo consigliere che aveva speso qualche parola in favore della causa operaia si lasciò cadere, affranto, sulla sua poltrona, mentre gli altri si preparavano alla solita sigaretta dopo aver svuotato la sala consiliare.

Francesco Ciancimino

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